Vulci (VT), 30 nov. (Federico Bardanzellu) - Servio Tullio, sesto re di Roma, è ricordato per aver realizzato il primo recinto murario comprendente l’area dell’intera città di Roma. Un tratto imponente di queste mura troneggia ancora sull’attuale piazzale della Stazione Termini. Le mura romulee, invece, circondavano soltanto il Colle Palatino. Per questo motivo, secondo Raymond Bloch e Werner Keller, a Servio Tullio e non a Romolo andrebbe attribuito l’onore di aver fondato la Città eterna.
Plinio il Vecchio ci ha lasciato una suggestiva descrizione della nascita di questo re. Narra che sia stato il Fuoco a mettere incinta Ocresia. Costei era una donna di umili origini al servizio di re Tarquinio Prisco.
Improvvisamente: «apparve dalla cenere del focolare un membro virile che possedette l’ancella e la rese incinta».
Servio Tullio generato dal fuoco nel grembo della schiava Ocresia
Nell’immaginario collettivo dei latini, quindi, è il dio Fuoco a recitare la parte del padre del “secondo fondatore”. Non è il primo di questi casi. Ai miti del dio Fuoco si ricollega infatti la primitiva narrazione della nascita dei gemelli Remo e Romolo. Tale racconto ci è giunto tramite Plutarco che ha riportato la versione dello storico greco Promathion (V sec. a.C.), autore di una “Storia d’Italia”.
Il mito della nascita del fondatore per intervento del dio Fuoco è riscontrabile anche nella fondazione di Praeneste (Palestrina/Castel San Pietro Romano), da parte di Caeculus. Era questi un genio dei boschi nato dalle fiamme di un incendio ma reso cieco per sempre dal fumo della combustione.
Tornando a Servio Tullio, anche Tito Livio cita strani prodigi aventi ad oggetto le fiamme, attorno al capo del neonato. «Al grandissimo clamore suscitato dalla meraviglia di un simile portento accorsero il re e la regina. Poiché uno dei servi portava dell’acqua per spegnere le fiamme, essa lo trattenne … finché (il fanciullo) non si fosse svegliato da sé. Poco dopo, col sonno, scomparvero anche le fiamme».
L’imperatore Claudio racconta
Tali racconti mitici furono elaborati dai latini in epoca successiva al regno del sesto re (578-539 a.C.). Si formarono probabilmente nei primi anni della repubblica e cioè all’inizio del V secolo. È quasi certo, infatti, che Servio Tullio fosse un etrusco. Proveniva dalla città di Vulci, nei pressi dell’odierna Canino.
Nel 1524, infatti, fu rinvenuta a Lione una iscrizione etrusca su una tavola di bronzo che riportava il testo di una orazione dell’imperatore Claudio al Senato nel 48 d.C. «Servio Tullio, se seguiamo i nostri, era nato dalla prigioniera Ocresia. Per gli Etruschi era un tempo fedele amico e compagno di avventura di Celio Vibenna. In realtà il suo nome etrusco era Mastarna. Dopo di che, spinto dal de-siderio di far fortuna, partì per mandato di Celio con tutto l’esercito dall’Etruria. Occupò il monte Celio, così chiamandolo e mutandone il nome da quello del suo comandante».
Servio Tullio e i fratelli Vibenna
Le informazioni dell’imperatore sono confermate e puntualizzate dalle immagini dipinte sulle pareti della Tomba François di Vulci. Come in un film, l’affresco descrive la vicenda del colpo di Stato ef-fettuato a Roma dagli avi dei proprietari della tomba.
L’azione sarebbe stata effettuata dai fratelli vulcenti Aulo e Celio Vibenna. Essa avrebbe condotto alla deposizione e alla soppressione di Tarquinio Prisco. Essendo venuti meno i due fratelli, sarebbe salito al trono il loro maestro della cavalleria (Macstrna=Mastarna), cioè Servio Tullio.
A Celio Vibenna, come detto, Servio Tullio Mastarna dedicherà il colle Querquetulanus (Celio). L’esistenza storica di Aulo Vibenna è invece confermata dall’iscrizione alla base di un calice di bucchero. Il reperto, databile al secondo quarto o alla metà del VI secolo a.C., fu rinvenuto nel deposito votivo del santuario di Portonaccio a Veio. La scritta riporta: «mini muluva[n]ece avile vipiie-nas» ovvero «mi ha offerto Aulo Vibenna».
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